domenica 20 luglio 2014

Quando mi piaceva il calcio /2

Dicevamo di Berlusconi. Primavera 1987. Il Milan è in difficoltà. L'allenatore Nils Liedholm, detto “Il Barone”, viene esonerato. La squadra rischia di non qualificarsi alla Coppa Uefa. Arriva Fabio Capello, che in quegli anni faceva la “spalla” a Sandro Piccinini come commentatore tv. Da Italia 7 a San Siro, quindi. Capello discettava sulle tattiche delle grandi squadre argentine ed uruguaiane e dei loro campionati. Ricordo bene il River Plate e il Boca, ma anche i favolosi derby tra il Nacional ed il Penarol di Montevideo. Capello, dalla mascella alla Braccio di Ferro, ancora senza occhialini, permise al Milan di andare in Coppa Uefa. Non ricordo con chi vinse lo spareggio, forse con la Roma. Non importa, non è questo il punto. Allora mi piaceva il Milan. Tramontata la grande Juve del Trap e di Platini, arrivato Maradona con il suo Napoli stellare, mi ero fissato con i rossoneri. Bene. In quell’estate arrivarono i primi due olandesi, Gullit, che Maurizio Mosca presentò come un formidabile colpitore di testa in elevazione («Ecco, guardate tutti quanto salta», disse Mosca in non ricordo quale trasmissione, forse “Forza Italia”, presentata da Roberta Termali, Fabio Fazio, Walter Zenga e Cristina Parodi, su Odeon Tv), e Van Basten, uno dei più grandi centravanti di tutti i tempi, protagonista di un fantastico campionato europeo per nazioni nel 1988, forse una delle edizioni più belle di un torneo ormai diventato più spettacolare e prestigioso di quello mondiale della Fifa (e prossimamente spiegherò perché). Il Berlusca, che era già tale, da presidente del Milan iniziò con le sue farneticazioni: le coppe europee non vanno bene perché le gare sono ad eliminazione andata e ritorno e noi se ci buttano fuori perdiamo un sacco di soldi, due stranieri sono pochi, facciamo anticipi, posticipi, turni infrasettimanali e altre castronerie. L’obiettivo? Chiaro, favorire le sue televisioni, che così potevano magari trasmettere le partite. E ovviamente basta con il monopolio Rai. Bene, quell’estate le reti Fininvest, in particolare Italia Uno, iniziò a trasmettere gli allenamenti del Milan… Gare surreali tra un Milan 1 e un Milan 2. E via discorrendo. L’allenatore Arrigo Sacchi, appena arrivato dal Parma, sembrava uno che sapeva il fatto suo. Il campionato alla fine lo vinse davvero, superando alle ultime giornate un Napoli che perse al San Paolo in una partita davvero “curiosa”. Prima ancora però, in autunno, il Milan fu estromesso dalla Coppa Uefa. Ricordo che giocò a Lecce, perché il Meazza era stato interdetto per una giornata di squalifica del campo, contro lo Sporting Gijòn. Vinse per 3 a 0, con un giovanissimo Paolo Maldini, che in quella partita giocò terzino destro e non sinistro per quello che a me sembrò un capriccio di Sacchi. Ma al turno successivo i rossoneri furono eliminati dall’Espanol, sconfitti al Sarrià di Barcellona per 2-0.
Il Berlusca scalpitava intanto per il terzo straniero. Prese tal Borghi, argentino dai piedi sopraffini, e lo piazzò in prestito al Como. Insistette. E il terzo straniero arrivò. Regalo di “don” Tonino Matarrese, allora padre padrone del calcio italiano. Al Milan nacque così un terzetto delle meraviglie, Van Basten, che tra l’altro si rompeva in continuazione, Gullit e Rijkaard. Io non ero più simpatizzante milanista, ma ormai antiberlusconiano ante litteram. A tutto c’era e c’è tuttora un limite. Proprio quel passaggio lo reputo l’inizio della fine del calcio italiano. Presi a simpatizzare per l’Inter, dove era approdato un italo-belga, Vincenzino Scifo. E di lì a poco anche il mitico Trap, che portò i nerazzurri a vincere lo scudetto dopo nove anni di digiuno.
Nel 1988 c’era stato anche il Campionato Europeo in Germania. Bellissimo, rivisto oggi. Giocate ed emozioni irripetibili. Ricordo la partita di esordio dell’Italia con la Germania a Dusseldorf, un goal strepitoso di Roberto Mancini ed il pareggio di Brehme, che di lì a qualche mese insieme al compagno del Bayern Matthaeus (che Brera, solito innovatore linguistico, pronunciava con un tedesco tutto suo “Mattois”) avrebbero costituito l’ossatura dell’Inter dei record con il Trap in panchina.
Ma è stato il 1990 l’anno cruciale per il calcio italiano (e non solo). E per me.

(continua)

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