domenica 20 luglio 2014

Quando mi piaceva il calcio /1

In questi giorni di pausa “autoforzata” (mi sono imposto una sorta di riposo: ne parlerò prossimamente in un altro post) sto a casa un po’ più del solito. Per chi tenta di fare il cronista di politica (cittadina, perché questa è la dimensione) il fatto che il Consiglio comunale ancora non lavori a pieno regime è sinonimo di vacanza. Si scrive d’altro, per fortuna, perché la politica non è solo comunicati della Giunta. Le dichiarazioni dei nostri bravi rappresentanti in Comune si raccolgono lo stesso. E si scrive. Ma anche si riflette.
Una settimana fa finiva il Mondiale di calcio. Una edizione, quella che si è svolta in Brasile, davvero brutta. Per chi come me, e siamo tanti, ha passato l’adolescenza con negli occhi il Mundiàl del 1982 assistere a partite come queste dello scorso giugno è stato a dir poco sconvolgente. Io, tra l’altro, posso confessare, e questo può costituire una sorpresa per chi mi conosce, di essere stato drogato di calcio in gioventù. Diciamo dal 1982 al 1986, dai 10 ai 15 anni, grossomodo, quattro anni fondamentali per la formazione di un uomo. Seguivo tutto quello che si poteva seguire. Proprio grazie a quella vittoria della Nazionale italiana in Spagna entrata nella storia arrivò, per me e per i miei coetanei, tutto il resto. Si partiva dalle figurine Panini (due album completati, tra cui quello del campionato 1982-83 che conservavo fino a qualche anno fa e chissà adesso dov’è, nascosto in qualche angolo in cantina o in campagna…), alle dirette televisive di tutte le partite possibili e immaginabili, alla lettura della Gazzetta dello Sport (meno il Corriere, nulla Tuttosport), a 90° Minuto (un rito ogni domenica), La Domenica Sportiva ed il Processo del Lunedì. E poi a scuola, ed ero alle Medie, era tutto un discutere di calcio. La mia era poi una sezione maschile. Non si parlava d’altro tra di noi. A dirla tutta ogni tanto faceva capolino qualche altro sport, due in particolare, il ciclismo (Saronni o Moser?) e l’atletica, mai quotidianamente. Per noi sassaresi esisteva anche la Torres, un po’ il Cagliari. Ma eravamo tutti juventini. Con l’arrivo di Michel Platini ecco la sublimazione totale della nostra passione. Perché quella Juve era anche la nazionale di Bearzot, un blocco di amici prima ancora che di calciatori. Si inseriva qualcuno ogni tanto, un Altobelli, un Collovati, ma basta. La Juve vinceva anche in Europa. Una coppa all’anno, la Coppa delle Coppe prima e poi quella dei Campioni, purtroppo “sporcata” dalla tragedia dell’Heysel. Quell’evento per me fu un momento di scoramento totale: non concepivo che per un gioco, seppure così coinvolgente, si potesse morire. Ma passò.
Nel frattempo erano arrivate alcune delusioni dalla Nazionale italiana. Già nel 1983, a pochi mesi da quella vittoria in Spagna. Ricordo un 1-1 a Nicosia, con Cipro, alle qualificazioni per il Campionato Europeo in Francia. Un campo infame, in terra battuta e senza un ciuffo d’erba. La vissi come un’umiliazione, un tradimento. Ma come, noi viviamo per voi e ci tradite così? Era l’epoca dell’ulteriore apertura delle frontiere con il secondo straniero in squadra e qualcuno parlava già di fine del calcio giovanile, dei forestieri che occupavano ruoli come regista e mezzala tarpando le ali alle carriere dei nostri poveri calciatori. Noi che tifavamo a distanza (a Sassari che potevamo fare?) e che avevamo 11 e 12 anni non lo capivamo. Poi arrivò Maradona al Napoli. E tutto cambiò. Diego ci affascinava comunque per le sue giocate strabilianti. Non ci convinceva il fatto che giocasse nel Napoli, squadra che vedevamo inchiodata alla zona retrocessione. Ma questo è un altro discorso.
Nel 1986, dicevo, la mia passione per il calcio iniziò a calare. Forse ero semplicemente cresciuto. O forse avevo già capito che quel calcio ancora sport stava per diventare qualcosa di diverso. La svolta furono i Mondiali in Messico. Visto oggi il risultato della Nazionale italiana non fu da buttare. Estromessi da un’ottima Francia negli ottavi. Adesso si esce direttamente al primo turno, in tornei a 32 squadre, quando allora erano a 24. Ebbene, quei mondiali mi irritavano. Una grafica televisiva oscena, tifosi e anche tifose inquadrate in continuazione mentre urlavano a vanvera, e poi tutti i capoccia della Fifa sempre presenti. C’era già Blatter, “solo” segretario generale, il presidente era il belga-brasiliano Havelange. Ma c’era Maradona, c’erano delle belle squadre e, soprattutto, la Germania, allora solo Ovest, che fu sconfitta in finale, la seconda consecutiva andata male. Fermare i crucchi, anche nello sport, è sempre un bene. E vale per tutti gli sport.
Finiti i Mondiali si riprese col calciomercato, il campionato e poi fece capolino anche la Torres (stavano per arrivare Zola e il mister Bebo Leonardi), che allora era in C2. L’anno dopo scoprii l’esistenza anche della Dinamo e del basket a Sassari. Andai anche al Palazzetto a seguire una gara. Fu un’esperienza sconvolgente. Uomini di mezza età che in piedi sulle gradinate in mezzo alla gente insultavano gli arbitri. E io non capivo il perché né come si potesse essere così maleducati e soprattutto irrispettosi nei confronti dell’autorità! Era il 1987 (anno scolastico 1986-87, quinta ginnasio) e ritornai al Palazzetto solo nel 2010, con la Dinamo in serie A e in zona playoff.
E il calcio? Non ero più juventino, mi piaceva Liedholm che consideravo un gran signore dello sport e mi era diventato simpatico il Milan. Ma non ero tifoso, non lo sono mai stato e mai lo sarò. Per me un club calcistico vale l’altro, non mi interessa. Mi attirano i personaggi, le squadre ed il modo di giocare. Per la Nazionale italiana è un altro discorso, più complesso. Ma prima c’è Berlusconi.

(continua)

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