domenica 17 agosto 2014

Anche quest’anno centomila alla Faradda. Anzi, di più…

Lo dico? Lo dico! Oltre centomila! Ma dove?
La Faradda è passata anche quest’anno. Stessi colori, stessa passione, stessi suoni di sempre. Per un sassarese il 14 agosto è il momento più importante dell’anno. Da un po’ di tempo, dal 2006, con un paio di buchi, ho preso l’abitudine di seguire la parte conclusiva in chiesa, a Santa Maria. Privilegi del cronista, ovvio (ho raccontato tutto su www.sardegnadies.it/discesa-dei-candelieri-2014, un lavoro immane). Intorno a me il solito nugolo di fotografi, cameramen e tanto altro. Oltre agli imboscati, quest’anno (finalmente) pochi. Vivere la Faradda in chiesa per un sassarese è il massimo. È l’ora più bella, perché più umana, più vera, più silenziosa. Già. Silenziosa, con l’organo ed i tamburi in lontananza. Lontano da quel pubblico di trogloditi che si incontra lungo il percorso, che sono lì solo per trincare e fare casino. Minoranza dirà qualcuno. Sarà, ma per me sono insopportabili. Come i passeggini con i bambini, che ti bloccano il passaggio, che sembra siano pronti ad attentare alle tue ginocchia (e a me ne è rimasto solo uno di ginocchio): cosa vedranno quei poveri piccoli da lì sotto me lo sono sempre chiesto.

Ma torniamo alla Faradda a Santa Maria. Dicevo che da privilegiato riesco a seguire la funzione religiosa a due passi dall’altare e dal simulacro dell’Assunta. Faccio anche qualche foto, ma avendo una volgarissima “bridge” (da una Nikon sono passato quest’anno a una Olympus da 100 euro presa su Ebay) non posso certo strafare. Qualcuno mi fa i complimenti. Altri, forse i professionisti, chissà, penseranno “che schifo” di foto. Ma io non sono un fotografo. Sono un cronista e, spero sia così, scrivo meglio di come faccio le foto. Negli anni posso però dire che ho sviluppato l’occhio, so quali possono essere i momenti migliori o più importanti. Dono dell’esperienza sul campo. Sta di fatto che a Santa Maria sono costantemente l’unico cronista. Ed essere da soli a testimoniare l’evento più importante per un sassarese resta una grande soddisfazione. Perché Sassari è lì, in quegli attimi, in quei riti secolari.

Santa Maria, allora. E il resto? Bello, ovviamente: i portatori, con la loro fatica, i gremianti, con i costumi storici, la folla (quella appassionata), con il suo entusiasmo. Tutto, ripeto, bello, emozionante, irripetibile. Tranne Palazzo di Città. Quest’anno avevo deciso di entrarci solo per il brindisi “A zent’anni”, perché va seguito, è giornalisticamente importante. Alla prossima edizione me ne starò volentieri alla larga. Tutto quello che c’è prima, inutile, vecchio e stantio, non mi piace, non mi è mai piaciuto e continua a non piacermi. Contano solo il brindisi e l’uscita del sindaco, accolto da fischi o applausi. Il resto non ci interessa. Per chi non lo sa, racconto cosa succede qui, in quello che un tempo era il palazzo del Comune. Era in realtà un altro edificio, abbattuto perché fatiscente (ma a Sassari tutto diventava fatiscente: era la motivazione per cancellare la memoria storica monumentale, dal Castello alla chiesa di Santa Caterina nell’attuale piazza Azuni, che tra l’altro pare avesse uno splendido campanile simile a quello di San Francesco di Alghero). Al posto del vecchio palazzo comunale fu realizzato l’attuale Palazzo di Città, che contiene lo splendido Teatro Civico, piccolo esempio di intelligente architettura musicale ottocentesca. Qui, ogni 14 agosto, a partire dalle 18 fino al brindisi del sindaco con il gremio dei Massai, avviene l’apoteosi dell’essere e dell’apparire. Personalità e personaggi vari, a cui della Faradda magari non gliene frega niente, ma che sono lì per salutare il deputato, il comandante, il consigliere regionale, l’assessore, “Sua Eccellenza” (lì deve essere per il brindisi, quindi si sa che c’è…), a leccare insomma li “cabbizzoni”, quelli che i sassaresi, con spirito cionfraiolo, chiamano “lu signurìu”. Tutte persone che poi spariscono, che in chiesa non si fanno vedere e che ai Candelieri, si vede lontano un miglio, non si appassionano. Quest’anno c’era addirittura un ministro, addirittura quello della Cultura, Dario Franceschini (balzato agli onori delle cronache per avere aumentato a sfavore del povero utente lo stupidissimo balzello sui supporti informatici pro Siae, carrozzone tutto italiano che nessun governo si azzarda a cancellare una volta per tutte: fino a pochi anni fa i suoi funzionari chiedevano soldi anche per l’esecuzione dell’inno nazionale in pubblico!). Tutti ad omaggiarlo, a stringergli la mano, a salutarlo, a farsi un “selfie” o una banale foto. Per i giornali (alcuni, non tutti) diventato improvvisamente sardo e sassarese, perché la nonna, scopriamo, era sassarese e la sua fidanzata, tra l’altro consigliera comunale a Roma, originaria di Usini. A Palazzo di Città, anche quest’anno, si beveva. Un buffet – che io, non solo i consiglieri comunali “grillini”, dico che è da eliminare una volta per tutte – che finalmente sta diventando, edizione dopo edizione, più leggero. O forse no. Avevo comunque sete e due bicchieri di acqua li ho volentieri bevuti. Pensando anche che avevo davanti a me ben cinque ore di faticata. Eh già, perché almeno io, ed i miei colleghi, eravamo lì non per farci vedere ma per vedere. Come ho già detto, basta lasciare una bottiglia d’acqua o un’aranciata per la stampa, e togliere tutto il resto. L’anno prossimo non ci entrerò. Lo dico, a dire il vero, da quattro anni. Ma alla fine sono stato costretto a salire lì dentro, trascinato dai colleghi che avevano necessità di sentire il ministro (“il direttore così chiede”). Stavolta poi c’era il rischio di non poter rientrare nel caso avessi fatto come nel passato la spola, il cronista dentro ed il fotografo fuori, a seguire l’arrivo dei candelieri davanti al neosindaco Nicola Sanna. Chissà perché qualcuno non capiva che se mi dicono dal Comune che i giornalisti possono muoversi liberamente dove credono e mi danno un pass su cui c’è scritto il mio nome e c’è pure il timbro del Gabinetto del Sindaco io, che poi racconterò quello che accade, vado dove mi pare! Quest’anno c’erano infatti due energumeni mai visti prima che bloccavano l’ingresso a Palazzo di Città. «Voi non siete autorizzati!», ha detto un tizio con tanto di auricolare (davvero ridicolo) stile sicurezza della Casa Bianca. Era pronto il “vaffanculo”, evitato dall’intervento della brava addetta stampa di Palazzo Ducale, che aveva capito al volo la situazione: «Loro sono giornalisti e, se vogliono, entrano!». Qualcuno poi ci ha detto che erano due bodyguard presi dall’Amministrazione per rinforzare la sicurezza a Palazzo. «C’è il ministro!». Il “E chi se ne fotte!” era anche in questo caso dietro l’angolo. Altri ci hanno spiegato che erano del servizio d’ordine di non si sa quale ministero; altri ancora che erano davvero guardie private. Cosa decisamente assurda: che ci sta a fare la polizia municipale? E infatti poi lungo il percorso ed a Santa Maria i due energumeni sono spariti (uno è misteriosamente comparso in una foto fatta lì in piazza, ma doveva essere un fantasma aggiunto dalla scheda Sd da 8 GB classe 10 nuova di zecca). Nel piazzale davanti alla chiesa la sicurezza era gestita da polizia e carabinieri, gente che di ordine ne capisce. Qui nessun problema: chi aveva il pass stampa poteva entrare. Punto.

E la gente, il popolo? C’era, c’era. Anche se devo ammettere che dei miei parenti manco uno ne ho trovato. E dire che ne ho. E gli amici? Nessuno, se per tali intendiamo quelli storici, non gli amici-colleghi del mondo dei media, quelli non fanno testo. Stavolta non ho trovato neanche una delle colonne della Faradda, il caro amico Vindice, che pare fosse a Barcellona per un breve e strameritato viaggio (è pronto un nuovo libro). Centomila? Oltre centomila? Ma finiamola di sparare cifre a vanvera. I Candelieri percorrono 520 metri, da piazza Castello a Santa Maria. Il tragitto non è interamente occupato dalla folla. Basta ragionarci un momento. Quando il primo candeliere, quello dei Fabbri, è entrato in piazza Santa Maria, l’ultimo, dei Massai, aveva passato da un pezzo la sede dell’Intergremio. Ovvero tutte le altre parti del tragitto erano vuote. Qualche anno fa un cronista della vecchia scuola mi diceva che lui di numeri, quando scriveva sulla Nuova Sardegna, non ne metteva. Perché non li sapeva. L’altro giorno ho sentito dire: qua sotto Palazzo di Città ci saranno diecimila persone. Ieri ci sono passato, per capire come fanno a starci queste diecimila persone in uno spazio di appena venti, facciamo anche trenta, metri quadrati. Non ci sono riuscito ed ho ammesso la mia tontaggine. E in corso Vico? Sul lato destro, in direzione Santa Maria, era facile camminare. La folla, con le sue proverbiali ali, era sugli spigoli dei marciapiedi. Ma era possibile tagliare, passare in mezzo, lo spazio c’era. Erano però centomila. Ed i numeri sono importanti per farci un titolo, lo stesso da quarant’anni. Per l’ennesimo record, ogni anno migliore del precedente, in un crescendo che poi non aumenta neanche sulla carta! Perché il prestigioso riconoscimento dell’Unesco – a Sassari diventata Unescu – si misura dalla partecipazione di pubblico. Questa non la sapevo…

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